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Amministratore senza compenso: come funziona davvero e quando conviene

SOMMARIO

Essere amministratore di una SRL senza percepire alcun compenso è una scelta possibile, legittima e in molti casi strategica. Tuttavia, è anche una delle decisioni più fraintese nella gestione societaria, perché un incarico gratuito comporta conseguenze fiscali, formali e organizzative che devono essere conosciute e documentate con precisione. In un contesto in cui le SRL si muovono tra esigenze di efficienza, capitalizzazione e contenimento dei costi, il tema torna ad essere centrale.
Un amministratore senza compenso continua a esercitare tutte le funzioni tipiche del ruolo: rappresenta legalmente la società, assume decisioni, firma contratti, coordina l’attività aziendale e gestisce i rapporti con il fisco. La differenza sta nel fatto che sceglie volontariamente di non percepire un emolumento per tale incarico. È una possibilità riconosciuta dalla legge, che non obbliga in alcun modo la società a remunerare i propri amministratori, purché la gratuità sia stabilita in modo chiaro e coerente.

Cosa significa essere un amministratore senza compenso

L’amministratore senza compenso non è un amministratore “ridotto” o “limitato” nelle sue funzioni. Ha gli stessi doveri, gli stessi poteri e, soprattutto, le stesse responsabilità di un amministratore retribuito. Ciò che cambia è esclusivamente la modalità con cui viene remunerato: in questo caso, non attraverso un compenso, bensì tramite altre forme che possono essere previste successivamente, come dividendi o rimborsi spese.

Questa distinzione è fondamentale. Il compenso dell’amministratore è un reddito da lavoro autonomo, soggetto a IRPEF, ritenute e contributi INPS. La retribuzione da dipendente è cosa diversa. E ancora diversa è la distribuzione degli utili, che rappresenta un reddito da capitale. Un amministratore senza compenso può rinunciare alla remunerazione del lavoro, ma può comunque percepire dividendi o ottenere rimborsi per le spese sostenute nell’interesse della società.

Perché molte società scelgono un amministratore non retribuito

Questa scelta è molto frequente all’interno di startup e piccole SRL. Ci sono motivi pratici e motivi strategici.

Nelle startup è spesso necessario ridurre al minimo i costi fissi. Rinunciare al compenso permette di concentrare le risorse sulla crescita: sviluppo prodotto, marketing, infrastrutture. Nelle società familiari è una decisione dettata dall’efficienza: se gli stessi soci sono amministratori, spesso preferiscono lasciare liquidità in azienda e remunerarsi, eventualmente, tramite dividendi. In altri casi l’amministratore percepisce già un reddito dall’esterno e non ha necessità di ricevere un compenso aggiuntivo dal ruolo societario.

C’è poi un aspetto psicologico e organizzativo: molte SRL in fase iniziale considerano la gratuità come un segnale di impegno verso il progetto. Tuttavia, questa scelta non è priva di conseguenze e va sempre formalizzata.

Come si formalizza la rinuncia al compenso

La rinuncia deve essere chiara, documentata e verificabile. La gratuità dell’incarico non può essere implicita, orale o lasciata intendere tra soci. Se non è adeguatamente formalizzata, può essere contestata in sede fiscale.

Per prima cosa occorre verificare cosa prevede lo statuto. Se lo statuto parla di compenso obbligatorio, la clausola deve essere modificata con una delibera. Se invece lo statuto lascia libertà, basterà una delibera assembleare che indichi espressamente che l’amministratore svolge l’incarico a titolo gratuito. È necessario che l’amministratore accetti la nomina con tale condizione, firmando il verbale o un’apposita dichiarazione.

Tutta la documentazione deve essere conservata nel libro verbali. La Cassazione, negli ultimi anni, ha ribadito in più sentenze che la rinuncia al compenso è valida solo se risulta in modo esplicito dagli atti societari. Il principio è semplice: la gratuità deve essere dimostrabile. Ciò protegge sia la società che l’amministratore da possibili contestazioni.

Perché è così importante documentare tutto

La formalizzazione non è una formalità burocratica: è una tutela. Se la gratuità non risulta chiaramente, l’Agenzia delle Entrate potrebbe presumere l’esistenza di compensi occulti o benefit non dichiarati. Potrebbe contestare spese sostenute dall’amministratore, considerandole non inerenti, o negare la deducibilità di costi collegati. Nei casi peggiori potrebbe riqualificare come compensi somme che in realtà erano rimborsi.

Il rischio riguarda anche il bilancio della società. Un’amministrazione poco chiara può mettere in discussione la regolarità della gestione, con impatti sulle verifiche fiscali e sulla responsabilità degli amministratori.

Documentare correttamente la rinuncia al compenso è il modo migliore per evitare equivoci, dimostrare trasparenza e proteggere la società da eventuali accertamenti.

Rimborsi spese e attività quotidiana: cosa è consentito e cosa no

Un amministratore senza compenso può comunque ottenere il rimborso di spese sostenute nell’interesse della società. Questo è un punto cruciale, spesso oggetto di dubbi.

Sono rimborsabili le spese effettivamente sostenute e documentate, come viaggi di lavoro, trasferte, pernottamenti, carburante, pedaggi, taxi, pasti durante incontri aziendali, acquisti di materiali o strumenti necessari alle attività operative. Non è invece possibile riconoscere rimborsi forfettari, somme non documentate o benefit che non hanno una relazione diretta con l’attività della società.

Il principio è sempre lo stesso: la spesa deve essere documentata, giustificata e inerente all’attività. Il rimborso non deve rappresentare, anche indirettamente, una forma di compenso mascherato.

Quando conviene nominare un amministratore senza compenso

La gratuità dell’incarico è vantaggiosa in fasi specifiche della vita aziendale. Conviene quando si vuole mantenere i costi fissi bassi, quando la società è appena nata e sta investendo in crescita, quando l’amministratore è già retribuito da altre attività o quando la società ha una struttura semplice e un basso volume di operazioni.

In queste situazioni, rinunciare al compenso può favorire la stabilità finanziaria, aumentare la liquidità disponibile e semplificare temporaneamente la gestione fiscale.

Quando la gratuità può essere controproducente

Ci sono però casi in cui rinunciare al compenso è una scelta meno conveniente. Il compenso dell’amministratore, infatti, è deducibile dal reddito della società e può rappresentare uno strumento utile di pianificazione fiscale. Una SRL che genera utili potrebbe preferire riconoscere un compenso, ridurre l’imponibile e versare meno imposte.

Esistono anche aspetti previdenziali da considerare. Un amministratore senza compenso non versa contributi alla Gestione Separata INPS, e questo può influire sul futuro contributivo. Chi sceglie la gratuità deve essere consapevole di questa conseguenza.

Un incarico gratuito che si prolunga nel tempo potrebbe risultare incoerente con la complessità della società o con le attività svolte dall’amministratore. Una posizione non allineata con la realtà operativa può attirare l’attenzione del fisco.

Amministratore senza compenso o amministratore retribuito? Come scegliere

La scelta dipende dalla fase dell’azienda, dagli obiettivi dei soci e dalla strategia fiscale. Non esiste una soluzione valida per tutti. Ci sono società per cui la gratuità è la decisione più logica, almeno nei primi anni; ce ne sono altre per cui prevedere un compenso, anche minimo, è più efficiente e più tutelante.

L’importante è prendere una decisione consapevole, basata sui dati, sulla struttura societaria e sulla pianificazione futura. La gestione dell’amministratore non è solo un aspetto formale: incide sulle imposte, sui flussi di cassa, sul bilancio e sull’equilibrio complessivo della SRL.

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