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Tassazione criptovalute: guida completa

SOMMARIO

Negli ultimi anni le criptovalute hanno smesso di essere un fenomeno di nicchia e sono entrate nella vita quotidiana di molti investitori, professionisti e perfino piccoli risparmiatori. Se fino a poco tempo fa le operazioni in Bitcoin o Ethereum erano viste come strumenti di sperimentazione, oggi rappresentano un vero e proprio asset class, con volumi miliardari e una diffusione che non può più essere ignorata. Per questo il legislatore italiano, seguendo una tendenza già avviata a livello internazionale, ha deciso di intervenire con nuove regole fiscali sempre più chiare e strutturate.
La Legge di Bilancio 2025 segna un punto di svolta importante nella disciplina fiscale delle criptovalute. Dopo anni di incertezza interpretativa e di norme transitorie, viene consolidato un quadro che da un lato porta più certezza e trasparenza, dall’altro introduce nuovi oneri e costi per chi investe o semplicemente detiene criptoattività. La tassazione criptovalute diventa più severa, ma al tempo stesso si offre la possibilità di pianificare in modo più efficiente grazie all’opzione di rivalutazione.

In questo approfondimento analizziamo nel dettaglio cosa è cambiato, come funziona il nuovo sistema di tassazione e quali strategie possono adottare i contribuenti per gestire in modo intelligente il proprio portafoglio di criptovalute.

Tassazione criptovalute fino al 2024

Per comprendere bene la portata delle novità è utile fare un passo indietro e ricordare come funzionava la tassazione criptovalute fino al 31 dicembre 2024.

Il punto di partenza è stato l’inserimento, con la Legge di Bilancio 2023, di una nuova lettera all’articolo 67 del TUIR che ha inquadrato le plusvalenze da criptovalute tra i redditi diversi di natura finanziaria. In concreto, questo significava che i guadagni derivanti dalla cessione, dal rimborso, dalla permuta o dalla semplice detenzione di criptoattività erano soggetti a tassazione se superavano una soglia minima.

La regola più conosciuta era proprio la franchigia dei 2.000 euro: fino a quella cifra complessiva annua, le plusvalenze e i proventi non erano fiscalmente rilevanti. Se invece l’insieme delle operazioni chiudeva in positivo oltre quel limite, l’intero importo diventava imponibile e veniva tassato con l’imposta sostitutiva del 26%.

La normativa stabiliva inoltre che la permuta tra criptovalute non generasse immediatamente un evento tassabile. Scambiare Bitcoin con Ethereum non comportava di per sé il pagamento di imposte, a meno che in un momento successivo non si decidesse di cedere la nuova valuta ottenendo un guadagno.

Infine, già allora anche attività tipiche del mondo crypto come mining, staking o airdrop rientravano nel perimetro fiscale e, se producevano proventi superiori alla soglia, venivano tassate.

Oltre alla tassazione delle plusvalenze, non andava dimenticato il tema degli obblighi dichiarativi. Tutte le criptoattività detenute andavano inserite nel quadro RW del modello Redditi o nel quadro W del 730, ai fini del monitoraggio fiscale. A ciò si aggiungeva il pagamento di un’imposta annua sul valore delle cripto pari allo 0,2% al 31 dicembre, sul modello di quanto avviene con i conti correnti e gli strumenti finanziari.

ESEMPIO: chi nel 2024 realizzava una plusvalenza di 1.500 euro non pagava alcuna imposta. Se invece il guadagno arrivava a 2.100 euro, l’intero importo veniva tassato al 26% e non solo la parte eccedente. Allo stesso tempo, chi aveva semplicemente detenuto criptovalute per un valore di 50.000 euro a fine anno era tenuto a pagare un’imposta di bollo di 100 euro.

Tassazione criptovalute nel 2025

Con la Legge di Bilancio 2025 il legislatore ha deciso di rivedere radicalmente il sistema, eliminando la franchigia e preparando il terreno a un aumento significativo dell’aliquota fiscale.

Addio alla soglia di esenzione

Dal 1° gennaio 2025 non esiste più alcuna franchigia. Ogni plusvalenza e ogni provento derivante da criptoattività diventa automaticamente tassabile, anche se di importo minimo. Questo significa che un guadagno di poche decine di euro generato da una vendita di criptovalute dovrà essere dichiarato e sarà assoggettato all’imposta sostitutiva.

L’effetto di questa scelta è evidente: il legislatore ha voluto avvicinare sempre di più la tassazione delle cripto a quella degli altri strumenti finanziari, eliminando ogni soglia di tolleranza. In pratica, si mette fine alla possibilità di considerare irrilevanti i piccoli investimenti e si obbliga chiunque operi con le criptovalute ad avere un atteggiamento fiscale pienamente conforme.

Aliquota in aumento

Il 2025 rappresenta un anno di transizione: le plusvalenze restano tassate al 26%, ma senza più soglia. Dal 1° gennaio 2026, invece, l’aliquota salirà al 33%. Si tratta di un incremento importante, che porta la tassazione delle criptovalute ai livelli massimi previsti per i redditi finanziari in Italia.

La rivalutazione come strumento di pianificazione

Per mitigare l’impatto del nuovo regime, la norma introduce la possibilità di rivalutare il costo di acquisto delle criptovalute detenute al 1° gennaio 2025. In pratica, il contribuente può decidere di sostituire il valore storico di carico delle proprie cripto con il valore di mercato alla data del 1° gennaio 2025. Per farlo, è previsto il pagamento di un’imposta sostitutiva del 18%.

Il versamento può essere effettuato in un’unica soluzione entro il 30 novembre 2025 oppure in tre rate annuali, con interessi al 3% sulle rate successive. Una volta effettuata la rivalutazione, quel valore diventa la nuova base di calcolo per le future plusvalenze.

La ratio è chiara: se nel 2026 le plusvalenze saranno tassate al 33%, avere un valore di carico più alto permette di ridurre l’imponibile e quindi il peso fiscale. Naturalmente, questa scelta comporta un costo immediato e non è sempre conveniente. Serve valutare caso per caso, in base al portafoglio detenuto e alle prospettive di vendita.

Un esempio pratico di rivalutazione

Immaginiamo un contribuente che abbia acquistato Bitcoin per 10.000 euro anni fa e che al 1° gennaio 2025 valgano 100.000 euro.

Se decidesse di non rivalutare e di vendere nel 2026 a 150.000 euro, la plusvalenza sarebbe di 140.000 euro, tassata al 33%. L’imposta da pagare ammonterebbe a 46.200 euro.

Se invece scegliesse la rivalutazione, pagherebbe subito il 18% su 100.000 euro, cioè 18.000 euro. Al momento della vendita la plusvalenza sarebbe calcolata sulla differenza tra 150.000 e 100.000, pari a 50.000 euro. Su questa cifra si applicherebbe il 33%, pari a 16.500 euro. In totale il contribuente pagherebbe 34.500 euro di imposte, risparmiando circa 11.700 euro.

Questo esempio dimostra come la rivalutazione possa rivelarsi uno strumento molto utile, ma al tempo stesso richiede disponibilità immediata di liquidità e comporta un rischio: se il prezzo delle criptovalute dovesse scendere, l’imposta pagata anticipatamente potrebbe non essere recuperata.

Monitoraggio fiscale e IVCA

Le novità introdotte non toccano gli obblighi dichiarativi. Tutti i contribuenti che detengono criptovalute sono ancora tenuti a inserirle nel quadro RW o W della dichiarazione dei redditi e a pagare l’imposta sul valore delle criptoattività, pari allo 0,2% del valore al 31 dicembre.

Questo obbligo è indipendente dal fatto che siano state o meno realizzate plusvalenze. In altre parole, anche chi semplicemente detiene criptovalute senza venderle deve adempiere agli obblighi di monitoraggio e al pagamento dell’imposta.

Le sanzioni per la mancata dichiarazione sono pesanti, oscillando dal 3% al 15% del valore non dichiarato. Per questo è fondamentale conservare tutta la documentazione relativa agli acquisti, ai wallet e agli exchange utilizzati.

Tabella comparativa: 2024 vs 2025 vs 2026

AnnoRegimeAliquotaSoglia di esenzioneRivalutazione
2024Plusvalenze tassabili oltre 2.000 €26%2.000 €Non prevista
2025Tutte le plusvalenze tassabili26%NessunaPossibile al 18% entro 30/11
2026Tutte le plusvalenze tassabili33%NessunaNon più esercitabile

Come comportarsi nel 2025

Alla luce di queste novità, il 2025 diventa un anno cruciale per chi possiede criptovalute. È il momento in cui bisogna decidere se conviene o meno rivalutare, fare un check completo del portafoglio e pianificare eventuali vendite.

Chi detiene volumi significativi e ha plusvalenze latenti molto alte potrebbe trovare conveniente pagare subito l’imposta sostitutiva del 18% per alleggerire le imposte future. Al contrario, chi ha piccoli importi o chi pensa di non vendere a breve termine potrebbe valutare di non rivalutare e continuare a gestire le proprie cripto con il costo storico.

In tutti i casi è importante non sottovalutare la parte burocratica: monitoraggio, dichiarazione e pagamento dell’imposta sul valore delle cripto sono obblighi che non possono essere ignorati.

In un settore in continua evoluzione, la certezza normativa porta finalmente chiarezza, ma richiede anche maggiore responsabilità. Affidarsi a un commercialista esperto in materia di criptovalute non è più un’opzione, ma una necessità.

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