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Lavorare gratis è un rischio

Lavorare gratis: è possibile?

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Sommario

Lavorare gratis è un rischio! Occorre quindi farlo con ragionevolezza per evitare accertamenti fiscali dai quali difendersi è abbastanza complicato.

Prestare il proprio lavoro gratuitamente è cosa frequente e rappresenta un atto di generosità, ma attenzione perché potrebbe costare caro. Infatti contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i soggetti che lavorano gratis rischiano molto.

Cosa significa lavorare gratis?

Spesso lavorare gratis può rappresentare un atto di generosità, ad esempio per una giusta causa, per ricambiare una cortesia, e altre volte è un atto dovuto, ad esempio aiutare un parente o un amico.

Tuttavia un soggetto che lavora gratuitamente potrebbe sì essere elogiato dal cliente ma al contempo beffato dal Fisco. Il problema infatti non è che sia vietato lavorare gratis, perché ognuno può gestire il proprio tempo come meglio crede. Il problema è che tante prestazioni gratuite possono provocare un controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, in particolare quando si lavora tanto ma si fattura poco.

In tal caso, un eventuale controllo del fisco mirerebbe a verificare il motivo di un fatturato molto basso a fronte di tanto lavoro (ad esempio è il caso di un avvocato con tantissime cause e poche fatture).

Se lavoro gratis cosa rischio?

Come detto, il rischio derivante dal lavorare gratis si presenta quando viene utilizzato come espediente per celare in realtà il ricorso al lavoro nero e di conseguenza l’evasione fiscale.
È proprio questo il motivo che spinge l’Agenzia delle Entrate ad avviare un accertamento fiscale nei confronti del contribuente così generoso, in quanto agli occhi del Fisco risulta uno squilibrio tra attività lavorativa effettivamente svolta e reddito dichiarato.

Secondo l’Agenzia, infatti, ciascun contribuente non potrebbe permettersi di spendere più di quanto guadagna, nel caso in cui le uscite siano superiori di almeno il 20% rispetto alle entrate, il Fisco può presumere che si stiano evadendo le tasse.

Quali sono i mezzi utilizzati per effettuare i controlli?

L’Agenzia delle Entrate ha oggi numerosi mezzi a disposizione per avviare controlli nei confronti dei contribuenti, si pensi ad esempio alla possibilità di accesso all’Anagrafe tributaria e a tutte le banche dati in cui per ciascuno di noi sono contenute numerose informatizioni, lavorative, reddituali e patrimoniali.

In linea generale, i controlli sui contribuenti vengono effettuati utilizzando il redditometro, ossia lo strumento che permette di confrontare quanto dichiarato dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi con il suo tenore di vita verificando se congruente.

È facile quindi incorrere in controlli più seri se si dichiara di non avere redditi e contestualmente si affrontano spese ingenti, ad esempio l’acquisto di una casa o un auto di lusso. Naturalmente si dovranno considerare sempre le dovute eccezioni, ad esempio nel caso di un’eredità, una donazione o una vincita.

Quali i soggetti più a rischio?

Le categorie più a rischio sono i liberi professionisti. Si pensi ad esempio all’avvocato che segue diverse cause in tribunale ma non emette alcuna fattura oppure al consulente che effettua adempimenti per il proprio cliente senza richiedere compensi. Ma non solo, si pensi all’estetista che effettua solo prestazioni a domicilio senza avere nemmeno una partita IVA.

Con ciò non è nostra intenzione convincere i contribuenti a non effettuare più prestazioni gratuite, ma soltanto a farlo con ragionevolezza in quanto si rischia un accertamento fiscale dal quale comunque è complicato difendersi.

Come difendersi in caso di accertamento?

Come sempre, quando l’Agenzia delle Entrate avvia un procedimento di accertamento fiscale è onere del contribuente dimostrare la non rilevanza dei fatti contestati. In questo specifico caso non sono di aiuto le testimonianze verbali e sicuramente è consigliabile mettere per iscritto, sin dal momento del conferimento dell’incarico, che il professionista ad esempio rinuncia al compenso spettante per l’attività prestata. Inoltre, se trattasi di prestazioni professionali gratuite prestate verso una società è consigliabile indicare la rinuncia al compenso direttamente nelle delibere societarie oppure nella lettera di incarico.

Difficile quando trattasi di prestazioni verso i privati, non avendo questi ultimi obblighi di contabilità e/o di conservazione di documenti.

Perché stare attenti a Facebook?

È sempre più frequente condividere la nostra vita sui social network, a volte anche esagerando per suscitare un po’ di sana invidia nei nostri amici virtuali. Tuttavia questa ostentazione potrebbe costare caro, infatti anche il Fisco si è aggiornato al punto che i social sono utilizzati quasi come i tradizionali strumenti per valutare il nostro tenore di vita e considerati delle vere e proprie dichiarazioni online.
Si moltiplicano infatti i casi in tribunale in cui i social network diventano veri e propri elementi di prova, come si è verificato di recente in alcune sentenze che hanno utilizzato proprio famosi social come Facebook o Instagram come testimonianza per avviare un accertamento fiscale.

Privacy violata?

Come ben sappiamo l’Agenzia delle Entrate ha molteplici mezzi per controllarci. Infatti, l’accesso immediato alle banche dati della Pubblica Amministrazione contenenti le informazioni su redditi, attività lavorativa, eventuali pensioni o assegni familiari e conti correnti permette già un monitoraggio quasi a 360°.
Naturalmente anche i social network forniscono un’utile banca di accesso alle nostre informazioni, in questo caso però è l’utente che volontariamente decide di condividere e pubblicizzare la propria vita sui social, assumendosi naturalmente anche la responsabilità dei contenuti pubblicati.

Quali sono i post di Facebook a cui stare attenti?

È frequente vedere post di soggetti che, senza essere in regola, pubblicizzano il loro lavoro. Primi fra tutti i post di estetiste, parrucchieri, muratori o foto di viaggi e vacanze in località esotiche. Ma qual è il confine tra hobby e lavoro nero? Come evitare di finire nel mirino del Fisco? A volte basterebbe semplicemente un po’ di buon senso. Il primo passo è naturalmente quello di mettersi in regola e sarà poi onere del contribuente quello di dimostrare che l’accertamento fiscale avviato dall’Agenzia delle Entrate non ha fondamento.

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